S.Martino, Vastrè, Pianaura

Questo itinerario può avere inizio sia dalla frazione di S. Martino di Arco che da quella di Massone. Superate le ultime case ai piedi del dosso che sovrasta a Nord i due paesi, la strada si inoltra nell’olivaia. S’incontra ben presto la palestra di roccia “Policromuro”. Di qua si può continuare sulla strada asfaltata oppure inerpicarsi lungo il sentiero che, ripidamente, sale nella gola. Questa era l’antica mulattiera che percorrevano i carri a due ruote (loc. brozi), carichi di legna o di fieno, scendendo dalla montagna. E proprio nei pressi della parete rocciosa, ora frequentata quotidianamente da decine di rocciatori, esisteva un gradino sul quale i contadini facevano scorrere per buona parte il carico. Applicavano poi a delle stanghe in legno le due ruote posteriori (che avevano depositato nel salire) ed il carro riprendeva il suo viaggio nell’assetto normale.

caveoolite incisionirupestri sottoroccia vastre

Percorso circa un chilometro e mezzo si giunge in prossimità delle cave di oolite, nel dosso di Vastrè. Le prime cave che si incontrano (o cave basse) portano segnate nella volta numerose date risalenti per lo più alla prima metà dell’Ottocento. Ma l’uso di quella pietra era praticato da secoli. Documenti antichi parlano di una scuola di scultura ad Arco in epoca preromanica. Nel Settecento soprattutto erano partiti da quelle cave grandi blocchi di pietra per realizzare statue a Parma (ponte sul Taro), ad Innsbruck, a Salisburgo, a Vienna; anche le figure che ornano la fontana in piazza Duomo a Trento sono state scolpite nella pietra del Vastrè. Nell’Ottocento poi la pietra, così facilmente lavorabile perchè compatta, venne utilizzata per scopi industriali. Alcuni imprenditori cremonesi e poi l’arcense Giovanni Meneguzzi si dedicarono alla produzione di condotte per l’acqua. Il materiale venne apprezzato ovunque e tuttora vengono dissepolti nel Trentino tratti di acquedotti realizzati con la pietra di Arco. Verso la fine del secolo iniziò il lento ma inesorabile declino di quell’industria, superata dalla concorrenza del ferro. Ora le cave sono abbandonate, testimonianza solenne quanto silenziosa del lavoro e dell’ingegnosità dell’uomo.

Percorrendo il sentiero nel bosco di lecci, si arriva alle cave alte, suggestive anch’esse con la strada che le attraversa nell’ombra. Ci sono anche due case realizzate da Giovanni Meneguzzi per dare ospitalità ai suoi operai.

Di qua si può scendere, lungo un comodo sentiero, verso la località Patone-Moletta, oppure continuare questo interessante itinerario dirigendosi, attraverso un sentiero nel bosco, verso Pianaura.

Un antico documento nominando questa località dice: «Planadura, quae possessio vocatur paradisum…».

Qui si incontrano alcuni castagni secolari. Poco distante da un bivio (cartello pericolo di incendi), sulla destra, vi è un grande sottoroccia coperto alla vista dei più da cespugli di nocciolo e da piante di leccio. Sul pavimento di questo sottoroccia (loc. còel), che un tempo doveva esser stato utilizzato come abitazione o come rifugio, sono incisi segni, sigle, disegni; i più antichi risalgono, a detta di alcuni esperti, alla tarda età del ferro. Per altri studiosi invece essi sono tardo medioevali. Sarà possibile portarsi un ricordo di tali incisioni rupestri effettuando un calco con la tecnica del frottage. Muniti di carta bianca sottile, si applicherà il foglio alla roccia con l’incisione (tenendolo ben fermo); quindi usando carta copiativa o terriccio si passerà più volte sul foglio fino a veder apparire l’impronta dell’incisione. Alla fine dell’operazione si dovrà aver premura di pulire la roccia, non lasciando carta od altro.

Ma i tesori di Pianaura non sono finiti. Sul lato opposto a dove si trova il sottoroccia vi sono delle cave dismesse di lignite. Una in particolare è visitabile, muniti di pile e facendo attenzione a non scivolare sul terreno particolarmente sdrucciolevole.

Da Pianaura si potrà tornare a valle lungo la strada principale, oppure proseguire fino alla vicina località dei Campi d’Aram, per poi imboccare, deviando a destra, un’antica mulattiera che conduce fino all’olivaia di Massone.

Chi volesse proseguire può raggiungere Troiana, seguendo la nuova strada, oppure lungo l’antica via, in gran parte lastricata. Si osservino qui, come in altri luoghi, i solchi lasciati dalle ruote dei carri nei passaggi susseguitisi nei secoli.