La Collegiata

La più antica menzione della Pieve di Arco risale al 1144. Non sappiamo quale chiesa avesse edificato inizialmente la comunità cristiana di Arco e dove questo luogo di culto fosse. Si sa con certezza che l’antica chiesa collegiata era situata nella piazza del borgo medioevale. Aveva pianta rettangolare con direzione Est-Ovest.

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Su tre lati era circondata dal cimitero, entro il quale erano situate due cappelle, dedicate una a S. Michele e l’altra a S. Antonio. Era chiamata “Collegiata” perché in essa celebravano le funzioni sacre alcuni sacerdoti che vivevano una vita comunitaria (“collegium”), secondo un “cànone”, una regola di vita ben determinata. A capo e guida del Collegio dei Canonici vi era l’Arciprete, che aveva le funzioni di parroco.

L’antica Collegiata, modesta nella sua struttura, cominciò a manifestare segni di degrado già nel XV secolo. Successivamente, la visita pastorale del 1537 la trovò del tutto inadeguata ad accogliere i fedeli della contea.

Dopo molto vicissitudini e discussioni, finalmente le Comunità di Arco, Oltresarca e Romarzollo decisero nel 1613 di procedere all’edificazione della nuova Collegiata, secondo il disegno dell’architetto imperiale Giovanni Maria Filippi da Dasindo (Giudicarie). La nuova chiesa avrebbe avuto pianta rettangolare con direzione Nord-Sud e sarebbe stata ad una sola navata; la prima pietra venne posta il 7 novembre 1613 dal conte d’Arco Giovanni Vincenzo, mentre erano consoli Giuseppe Farina e Orazio Bernerio ed arciprete don Andrea Tomei.

La costruzione vide la partecipazione attiva di maestranze locali ed anche veronesi e bresciane. I materiali (pietre, calce, legname ecc.) vennero forniti dalle comunità così come le opere di manovalanza e di trasporto, secondo un ordine prestabilito. Nell’agosto del 1628 si potè celebrare la prima messa, ma l’edificazione della Collegiata non era affatto compiuta. Due anni dopo, la peste portò morte e miseria nel contado, costringendo all’interruzione dei lavori che rimasero bloccati per qualche anno.

Finalmente il 15 maggio 1671 la Collegiata di Arco venne consacrata da Sigismondo Alfonso Thun, principe-vescovo di Trento e Bressanone.

Nel Settecento vennero realizzati alcuni altari laterali e si modificò la struttura di quello maggiore, rialzando oltretutto il piano del presbiterio rispetto a quello della navata. Nelle pareti laterali del presbiterio si ricavarono due piccole “tribune” per ospitare i conti d’Arco dopo che i primi banchi erano stati portati all’altezza degli altri. Nell’Ottocento si realizzarono il pavimento e le splendide vetrate policrome; il costo di queste venne in massima parte coperto dalla munificenza della nobiltà ospite del Kurort e di qualche famiglia benestante di Arco.

Nel Novecento si avviarono lavori per la riparazione dei danni di guerra e per la realizzazione della decorazione a cassettoni del presbiterio e delle volte delle cappelle laterali.

Nel frattempo la Collegiata cominciava a mostrare sia internamente che nelle strutture esterne preoccupanti segni di degrado. Il tetto lasciava passare pericolose infiltrazioni d’acqua che andavano ad intaccare la stabilità della grande volta in tufo; gli apparati lapidei erano intaccati dallo smog e dal guano; la chiesa si presentava buia e grigia ai fedeli e ai visitatori; le decorazioni ad affresco, sia interne che esterne, erano pressoché illeggibili.Si prese quindi la decisione  di provvedere ad una capillare opera di restauro.I lavori, avviati nel febbraio del 1989, si sono conclusi nel novembre 1991. La Collegiata di Arco è tornata splendida nella sua magnificenza.

Breve guida

La facciata monumentale nella sua struttura (altezza massima m.32, larghezza m.27), è sostenuta da potenti lesene a doppio ordine, dorico e ionico. Sopra il bordo di ogni ordine corre un fregio monocromatico; il primo rappresenta strumenti musicali, spartiti ed oggetti sacri, il secondo è meno leggibile. Sopra il portale si apre un’ampia nicchia con il gruppo scultoreo che rappresenta Maria Assunta, cui la chiesa è dedicata. Più sopra la finestra rettangolare con gli stipiti ornati da volute; a chiudere la geometria del prospetto, un timpano triangolare con finestra ovale. Il campanile, alto m. 59 e dotato di sei campane, reca una scritta, appena sotto l’orologio: “Ex istis una erit ultima”; evidente è il richiamo alla precarietà del vivere umano.

Si accede alla chiesa attraverso il portale con battenti in legno di noce, realizzati nel 1952; nelle formelle sono scolpite scene bibliche dedicate alla Madonna, il testo della proclamazione del dogma dell’Assunta, gli stemmi di Pio XII e della città di Arco.

Appena entrati, nello spazio sotto la cantoria, si può ammirare lo splendido cielo con le sue tinte tenui, riportate in luce dai recenti restauri. Le sei colonne che sorreggono la cantoria facevano parte un tempo dell’altare maggiore, rinnovato nella sua struttura nella seconda metà del Settecento.

Più avanti si apre l’unica, grande navata con quattro cappelle per lato. La volta costruita in blocchi di tufo, ha un diametro di base di m. 17,90 ed un’ altezza massima di m. 22.57. Sofisticati sistemi di monitoraggio ne controllano la stabilità. Sotto il maestoso architrave e per tutta la lunghezza di tre lati corre un fregio ad affresco con le lodi bibliche alla Madonna, la lunga “laude dell’Assunta”. È opera del pittore Giovanni Antonio Italiani, autore anche del fregio esterno più ampio.

Immediatamente a destra, alla base del campanile, vi è la capellina dell’Immacolata; una grotta in tufo accoglie la statua della Madonna di Lourdes.

L’illustrazione che seguirà degli altari della Collegiata è posta secondo un ordine convenzionale, immaginando che il visitatore inizi il proprio itinerario sul lato destro, fino ad arrivare all’altare maggiore, per poi tornare all’uscita sul lato sinistro. Lateralmente ad ogni altare vi sono due stazioni della Via Crucis, dipinti su tela di un certo pregio artistico.

Il primo altare laterale destro è dedicato a S.Antonio da Padova; venne eretto per volontà della nobile famiglia Fragiorgi che possedeva un altare nella cappella (poi distrutta) nel cimitero dell’antica Collegiata. Sul pavimento sono due pietre tombali; quella di sinistra reca scolpito lo stemma Fragiorgi, su quella di destra vi è un’iscrizione con la dedica dell’altare a S. Antonio per volere dei Fragiorgi. L’altare è probabile opera  dello scultore Domenico Rossi detto il Manentino (Mori, not. 1675-1696). Nei vetri colororati del finestrone che sovrasta l’altare brillano gli stemmi di Sicilia e di Toscana, dono della Granduchessa Maria Antonietta.

Il successivo altare, dedicato alla Madonna del Rosario, è opera certa di Bartolomeo Pellone; fu completato  definitivamente nel 1670. L’ancona presenta quattro colonne lisce in marmo nero di Ragoli (Giudicarie); attorno alla nicchia con la Madonna del Rosario, quindici riquadri  con scene della vita di Gesù e di Maria (I Misteri del Rosario). La vetrata porta gli stemmi della famiglia Althamer.

Nella bussola dell’entrata Ovest, è murata la lapide in pietra nera con scritte in oro che ricorda il beneficio Stefanini.

Il terzo altare laterale destro è dedicato all’Addolorata e, quasi certamente, è anch’esso opera del Manentino. La statua della Madonna con il petto trafitto da una spada è in legno dipinto, realizzata  nell’ Ottocento  dallo scultore meranese Pendl.

L’altare a blocco pieno presenta pregevoli tarsie geometriche in marmo, bianco, rosso e nero a motivi quadrilobi inquadranti, nella lastra centrale nera, un calice. Delimita questa cappella una parte della balaustra che, prima della recente riforma liturgica, si trovava al termine della scalinata che porta al presbiterio. Nella vetrata è raffigurato lo stemma della famiglia  De Vilos.

L’altare o Cappella del Santissimo, progettato e costruito dal Manentino, è chiuso da un’ artistica cancellata realizzata nel 1781 da Giovanni Antonio Folada, fabbro di Mori. Un tempo le parti laterali della cancellata venivano aperte verso il basso in occasione della distribuzione dell’Eucarestia ai fedeli inginocchiati alla balaustra. Il tabernacolo barocco è opera di Cristoforo Benedetti, mentre il crocifisso che sovrasta l’altare è attribuito ad un intagliatore locale e risale alla fine del XVI secolo.——————–

In due nicchie, ai lati del presbiterio, sono collocate le statue del profeta Geremia (destra) e di Davide (sinistra). Ai loro piedi un piccolo stemma ricorda le famiglie che ne hanno finanziato la realizzazione, i Segala ed i Fragiorgi.

Come si è detto in precedenza, il presbiterio, elevato rispetto al piano della navata, ha trovato la sua attuale sistemazione nella seconda metà del Settecento. Il complesso dell’altare maggiore è composto da due colonne di marmo bianco e verde con capitelli corinzi che, addossate a lesene, portano un frontone arcuato con due angeli e due anfore, terminante in una conchiglia. Al centro della nicchia il gruppo marmoreo dell’Assunta, probabile opera di Gabriele Cagliari (o Calegari di Verona). Ai lati, due statue: Giuditta a destra, Ester a sinistra.

Le due grandi tele laterali rappresentano la Madonna con Bambino, Sant’Anna e San Giuseppe, e l’altra la Pentecoste. Sono collocate entro preziose ed elaborate cornici in stucco, dono del conte Giambattista d’Arco. Ai lati dell’altare vi è una doppia fila di sedili in legno di noce, realizzati nel 1825; costituiscono il coro dove un tempo si sedevano i canonici per assistere alla messa e per recitare l’Ufficio divino. Ad Est ed Ovest del presbiterio vi sono le sacrestie, decorate nel 1893 dal Rota; pregevole l’arredo di quella orientale. Ai lati del complesso monumentale sono state aperte due finestre, decorate con artistiche vetrate riproducenti S.Giuseppe con il Bambino e S.Anna con Maria. La parte alta del lato Sud della chiesa si conclude con una lunetta tripartita anch’essa in vetro policromo, raffigurante l’Incoronazione di Maria.

Ai piedi dei gradini che portano al presbiterio vi sono due grandi lapidi con la data 1781; erano le tombe riservate ai canonici e sacerdoti. Le decorazioni con gli stemmi sono state poste alla fine dell’Ottocento, in occasione della sepoltura provvisoria di Francesco II, re di Napoli, morto in esilio ad Arco il 27 dicembre del 1894.

Al centro della navata una lapide segna la sepoltura dei conti d’Arco; sulla pietra è inciso lo stemma dei d’Arco del ramo di Odorico.

Sul lato sinistro incontriamo il primo altare, dedicato a S. Carlo Borromeo, un tempo detto dello Spirito Santo. Questo altare,come gli altri due del lato sinistro, fu realizzato grazie alla munificenza della nobile famiglia dei conti d’Arco. L’altare presenta l’antipendio lavorato a tarsie geometriche. Incorniciano la pala, rappresentante la Madonna con Bambino, S.Carlo Borromeo ed altri santi, due coppie di colonne in marmo rosso reggenti archi spezzati sui quali sono inginocchiati due angeli. Al centro lo stemma del committente, conte Francesco d’Arco, sormontato da un piccolo timpano triangolare con ai lati due angeli adoranti lo Spirito Santo simboleggiato dalla colomba nel sole raggiante. La vetrata è dono di S.A.I.R., l’arciduca Alberto d’Asburgo.

Il successivo altare, dedicato a San Bernardino, era invece patronato della Municipalità di Arco, il cui stemma è collocato nella parte più alta dell’altare. Già nell’antica Collegiata vi era un altare dedicato al Santo di Siena; è realistico ritenere che Francesco d’Arco, capitano per qualche anno in quella città, abbia conosciuto personalmente Bernardino. Nel 1649 la comunità di Arco si metteva, con atto solenne, sotto la protezione di quel santo, dando incarico al maestro Bartolomeo Pellone di realizzare l’altare. La pala con la Madonna Assunta, i Santi Bernardino, Sebastiano e Rocco, è opera del pittore roveretano Domenico Udine e risale al 1834.

Nell’antipendio e nella vetrata è riprodotto il monogramma IHS(Jesus Hominum Salvator), tanto caro a S. Bernardino.

Il penultimo altare sul lato sinistro è dedicato a S. Maria Maddalena. Esisteva nel castello di Arco una cappella dedicata a questa santa. In essa vennero conservate, per un breve periodo, le reliquie di una martire cristiana donate da Papa Innocenzo XI al conte d’Arco Giambattista, canonico del duomo di Salisburgo e di Trento. Tali reliquie (che la devozione popolare chiamò di Santa Innocenza in onore del papa che le aveva donate) furono poi trasferite, dopo l’incursione del generale Vendome, nella sacrestia e poi nell’altare voluto dal suaccennato conte. Esse venivano portate in processione in caso di persistente siccità. Attualmente la reliquia è custodita in un’urna, realizzata nel 1905; la palma e l’ampolla sono i simboli del martirio. Un’immagine della santa è riprodotta anche sulla tavoletta, girevole, posta nell’antipendio.

L’altare è opera dei fratelli Sebastiano e Cristoforo Benedetti da Castione e risale al primo decennio del XVIII secolo. La pala, che rappresenta l’ultima Comunione (o Viatico) di S. Maria Maddalena, probabile opera di Jacopo Zanussi.

L’ultimo altare sul lato sinistro è dedicato ai Santi Arcangeli, Michele, Gabriele e Raffaele. In particolare però questa cappella è stata eretta per ricordare quella dedicata a S. Michele Arcangelo, situata nell’antico cimitero e distrutta per far posto all’edificazione della nuova Collegiata.

L’altare, elegantissimo, in marmi policromi di Castione, si ritiene sia opera di Teodoro Benedetti. Venne fatto eseguire nel 1754 dal conte Giorgio d’Arco. La pala, che descrive la lotta di S. Michele contro Lucifero, è attribuita sia a Felice Ricci detto il Brusasorci che a Teofilo Polacco; in ogni caso questa è l’opera pittorica più significativa presente nella Collegiata.

Si torna così all’ingresso principale, non dopo aver ammirato lo splendido parapetto della cantoria, ornato da quattro bassorilievi in legno stuccato alternati a piccole statue di musicanti, opera di Giacomo Benedetti da Desenzano. Ai lati della cantoria le statue di Mosè e di S. Giovanni Battista.Giacomo Benedetti è pure autore della cassa per l’organo, realizzato invece da Giuseppe Bonatti. Quest’organo fu poi più volte restaurato e nel 1897 ne venne installato uno nuovo, sempre riutulizzando la cassa del Benedetti.

L’ esterno

Quattordici fortissimi pilastri esterni, costituiti di massi in pietra battuta rinforzano la chiesa nei fianchi e sopportano i contrafforti della grande volta. Ad essi corrispondono, all’interno, i pilastri che scandiscono l’alternarsi delle cappelle laterali.

Pregevoli sono le porte laterali che risentono probabilmente delle indicazioni progettuali dell’architetto della Collegiata, Giovanni Maria Filippi.

La lapide infissa nella parete occidentale raffigura il busto del celebre proto-notaio don Giambattista Tamburini con accanto quelli, appena abbozzati, di due suoi nipoti. Sul lato Sud è collocata una grande meridiana con la scritta che riproduce i versi di Ovidio “Tempora labuntur, tacitisque senescimus annis” ; anch’essi ricordano lo scorrere del tempo, ed il nostro, silenzioso ma ineluttabile, invecchiare. In alto il campaniletto, costruito agli inizi del Settecento, con la campana che chiamava  alle  sacre  funzioni  i canonici.

Sul lato orientale, in piazza Prospero Marchetti, una scaletta in pietra porta a quella che ora, impropriamente, viene chiamata “cripta”. Le due stanze, cui si accede attraverso una stretta portina, erano fino alla primavera del 1989, ricolme di resti cimiteriali. Essi erano stati posti, in occasioni diverse, in quegli spazi che costituivano un tempo la cripta dell’antica chiesa dedicata a S. Michele nel cimitero di Arco; chiesa che poi era stata abbattuta nella sua parte superiore per far posto alla nuova chiesa Collegiata. La paziente e scrupolosa opera di sgombero ha permesso il ritrovamento di importante materiale archeologico: anelli di varia foggia, medaglie, crocefissi, grani di rosario, resti in ceramica risalenti ad epoche diverse. La prima stanza presenta un pavimento in cotto a lisca di pesce; si può notare come le fondamenta del pilastro vadano ad interrompere la volta preesistente. Da un imponente portale in pietra rossa con soglia monolitica si accede alla seconda stanza che presenta due sarcofagi posti nelle nicchie laterali. Sopra quello di destra, oltre lo scialbo, affiorano preziosi affreschi su più strati. Raffigurano un vescovo con mitria e pastorale ed un gruppo di persone inginocchiate ai piedi della croce. Sul fondo di questa seconda stanza si può osservare, in alto, la grande pietra ovale della tomba dei conti d’Arco. Un tempo questo spazio finale era separato dal resto della “cripta” da un muro edificato grossolanamente ed ora asportato. Sul lato destro una scala in pietra porta fin sotto il pavimento della chiesa Collegiata.

Lo scavo ai piedi di un sarcofago ha messo in luce resti di antiche sepolture: uno scheletro di donna con accanto uno di bambino. In questo luogo si può quindi osservare il succedersi di tre epoche storiche diverse: le antiche sepolture, probabilmente di epoca romana, la cripta della chiesa medioevale di S.Michele, il pavimento della sovrastante chiesa collegiata, edificata nel Seicento.