Palazzo del Termine o della lega.

All’inizio di via Vergolano, partendo da piazza 3 Novembre, si trova il Palazzo del Termine, o della Lega. L’antica denominazione attribuita all’edificio è dovuta alla vicina presenza di un cippo di confine (localmente “termine”) che segnò, a partire dal 1512, la già menzionata divisione della contea di Arco in due parti: quella del Ponte e quella della Scaria. La denominazione più recente risale invece ai primi decenni del secolo, quando nel palazzo trovò la sua sede la Lega dei Contadini del Basso Sarca.

Sorto, probabilmente, nella seconda metà del Quattrocento per volontà di Odorico d’Arco, e forse di suo padre Francesco, ebbe quale proprietario più celebre il poeta ed umanista Nicolò d’Arco,
il cui ritratto è presente nel grande avvolto a pianoterra.

Nel Settecento il palazzo appartenne al conte Giorgio d’Arco che viveva in Salisburgo; egli era grande amico della famiglia Mozart al punto da scrivere una lettera al cugino in Mantova, raccomandandogli di curarsi del giovanissimo Amadeus che si recava in Italia per tenere alcuni concerti (dicembre 1769).

Nell’Ottocento il palazzo poi divenne proprietà di alcune importanti famiglie di Arco (Marcabruni e Baldessari). Attualmente in una parte del Palazzo vi è il Ristorante “Alla Lega”, mentre altri spazi sono adibiti ad abitazione ed uffici.

Il Palazzo ha la ricorrente forma a quadrilatero con un ampio cortile interno.

Da qui si può ammirare il sottogronda completamente affrescato, e recentemente restaurato, che rappresenta scene della storia di Roma (ad eccezione di quella sul lato Ovest).
A tali scene si alternano gli stemmi dei casati imparentati con i d’Arco; al centro lo stemma imperiale con l’aquila bicipite ed accanto quello arciducale, bianco e rosso. Dopo il primo stemma (quadripartito, bianco e nero) dei Collalto, è ben individuabile la raffigurazione di Muzio Scevola che punisce la propria mano sul fuoco davanti al re Porsenna, e la scritta sottostante “Dionisius de Arco pinxit 1537”. L’autore degli affreschi è quindi Dionisio Bonmartini di Arco, la cui famiglia era originaria di Agrone nelle Giudicarie. A lui viene attribuita la Via Crucis  dipinta sulle pareti  della Chiesa di S. Rocco a Caneve ed una parte degli affreschi del sottogronda ovest di Palazzo Marchetti.

Nell’angolo Nord-Est del cortile, attraverso una porta con stipiti in pietra locale, si accede ad una grande stanza con soffitto ad avvolto, completamente affrescato. I dipinti presentano gli stemmi già notati nel sottogronda. Al centro del singolare incrocio d’archi campeggia l’aquila imperiale che reca sul ventre tutti gli stemmi dei Paesi che costituivano l’Impero asburgico ai tempi di Carlo V.

Sul soffitto vi sono ancora dei medaglioni dalle tinte sfumate che rappresentano motivi classicheggianti; due scritte ricordano che in quelle stanze trovavano pace le persone stanche (“Hic requie(s) (fessi)s”), dedicandosi ai piaceri onesti della vita (“Honestae voluptati d.”). Nell’angolo il ritratto di Nicolò d’Arco osserva sereno il visitatore.

Al primo piano dell’edificio è presente una grande sala con soffitto a cassettoni. L’intersecarsi delle travi minori con quelle portanti, più massicce, forma numerosi riquadri impreziositi da raffigurazioni o di stemmi o di volti. Gli stemmi sono facilmente riconoscibili ed attribuibili; i volti potrebbero rappresentare personaggi di casa d’Arco. Alle pareti, lacerti di affresco bastano a far immaginare quanto ricca e preziosa fosse la decorazione di quella sala.

Al secondo piano del Palazzo, con ingresso da via del Dosso, vi sono altre stanze finemente decorate, con motivi che richiamano quelli presenti nella Chiesa di S. Rocco a Caneve di Arco, chiesa voluta da Odorico d’Arco.

Recenti lavori di ristrutturazione del Palazzo del Termine hanno messo in luce nuove raffigurazioni ad affresco; tali ritrovamenti accrescono il valore artistico e storico di questo Palazzo.