L’Oltresarca

Questa zona del Comune di Arco, costituente fino al 1928 entità comunale a se stante, è caratterizzata da campagne rigogliose che, digradando, scendono dolcemente dalle pendici del M. Stivo e del M.Velo fin sulla riva sinistra del fiume Sarca.

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I paesi dell’Oltresarca presentano ognuno un centro storico ricco di preziose testimonianze, ed una periferia che, anno dopo anno, si è espansa con nuove abitazioni.

Nella campagna, a Sud‑Est, si trova la piccola comunità di Pratosaiano. Nel toponimo è il ricordo della nobile famiglia dei Seiano, irriducibile nemica dei conti d’Arco e annientata nel 1267 nella celebre battaglia del Bruttagosto, evento storico che ha dato il nome alla zona poco distante dal paesino.

Ad Est invece incontriamo Vignole con la chiesetta di S. Valentino, un po’ isolata dalle abitazioni. Notizie certe di questa chiesa si hanno a partire dal Cinquecento. Pregevole è il pluteo di origine longobarda murato sopra l’ingresso principale; altro reperto di grande valore archeologico è il sarcofago di epoca romana che giace ai piedi del campanile. Un’altra piccola testimonianza di arte longobarda è l’acquasantiera a lato del capitello eretto nel 1836, durante l’imperversare del colera, e che si trova ad un bivio interno al paese.

Bolognano ci accoglie con la sua grande chiesa dedicata alla B.V.M. Addolorata, consacrata nel 1907. L’edificio sacro ricalca, quasi perfettamente, nel suo impianto architettonico la chiesa di Olching, in Baviera. Il progetto di questa chiesa era stato infatti concesso, con qualche lieve modifica, dall’architetto Maurizio von Horstig, ospite in quegli anni ad Arco. Lo stile è basilicale, a tre navate, scandite da divisorie sostenute da potenti pilastri in granito; pregevole il soffitto a cassettoni.

La chiesa più antica di Bolognano però è quella di S. Floriano, presso il cimitero. Ad essa si giunge passando attraverso le vie del borgo, con i suoi vicoli, i “portegheti”, le fontane, i cortili. Lungo il cammino si incontra la cappella della SS. Trinità; di un certo interesse artistico è la predella dell’altare ligneo con le sue formelle raffiguranti, con tutta probabilità, scene della vita di Cristo.

Le prime notizie storiche della chiesa di S. Floriano risalgono al quindicesimo secolo; un urbario delle decime risalente al 1458 nomina espressamente la “gesia de Santo Florian de la villa de Bolegnan”. Costruita secondo gusti e caratteristiche romanico‑gotiche, fu probabilmente sottoposta a consistenti lavori di restauro nella seconda metà del secolo XVI; lo attestano le numerose date incise nell’intonaco della facciata e della parete sud (1590, 158.., 1592). Altri interventi di relativo ampliamento e di consolidamento sono stati effettuati in tempi successivi. L’interno ad un’unica navata presenta un pregevole pavimento in quadrelli in cotto; sono presenti numerose sepolture, chiuse da pietra ovale o quadrata. Leggibili sono le lapidi della famiglia Saibanti e quella di Tommaso Ricci risalente al 1763. Tre sono gli altari in marmo presenti nella chiesa, tutti e tre pregevoli con i loro intarsi e le loro volute; sono opera probabile dei lapicidi di Castione e risalgono al XVII secolo. Le colonne dell’altare maggiore inquadrano una grande tela che raffigura S. Floriano e S. Rocco. Nella tela dell’altare laterale destro è rappresentata la Madonna in trono col Bambino Gesù, con ai lati S. Agostino e San Fabiano papa. In alto la colomba ed il volto del Padreterno. Una scritta sopra l’arco che delimita il quarto altare laterale, con ancona in legno dorato, indica che esso era stato voluto dalla vicinia di Bolognano. Sulle pareti Nord e Sud sono infisse due lapidi in pietra nera che ricordano i benefici istituiti da Paolo Evangelista e Nicolò Allegranzi. Tracce d’affresco affioranti sotto lo scialbo, soprattutto nella parete nord, lasciano intuire decorazioni gravemente intaccate dall’umidità.

Usciti dalla chiesa, lo sguardo spazia libero sulle campagne dell’Oltresarca.

A metà circa del fianco montuoso che sovrasta Bolognano si scorge una chiesa ed un ripido prato antistante: è la chiesa di S. Giacomo, un tempo dedicata a S. Silvestro. La si raggiunge percorrendo la strada che da Bolognano porta al M. Velo, deviando sulla sinistra nei pressi della località “Salve Regina”.

L’origine del luogo di culto è antica: una pergamena del 1288 nomina un certo Albertino che era monaco della chiesa di S. Silvestro di Bolognano. Accanto alla chiesa infatti vi è una casa abitata, fino al Settecento, da monaci eremiti. L’interno della chiesa è semplice; l’aula presenta un tetto a capanna, mentre il presbiterio invece ha il soffitto ad avvolto. Ai lati dell’arco del presbiterio vi sono due piccoli altari; il pavimento è in cotto. Le pareti sono decorate da diverse raffigurazioni ad affresco, opera di Marco Sandelli detto il Moretto, pittore di Arco vissuto nel Cinquecento. Una scritta a fianco della figura di S. Rocco dice infatti che “Nicolò degli Allegranzi et Jacom Marinel, massari di questa giesa, insema con li vicini a fato far questa opera. Marcho Moreto de Archo depinse adì 2 zugno 1576”. Nella scena della Crocifissione si noti la figura di soldato con armatura che regge un mastello traboccante d’acqua: è S. Floriano, patrono di chi spegne gli incendi. Accanto al suo volto lo stemma dei conti d’Arco.

Gli affreschi della parete ovest possono far pensare, per alcuni dettagli fortemente espressivi, ad una mano diversa da quella del Moretto.

Il verde tutto attorno alla chiesa ricrea l’atmosfera che invita al raccoglimento e alla meditazione.

Massone deriva probabilmente il suo nome dal termine latino “mansio” che significa maso, masseria, a testimonianza che l’angolo di Nord‑Est dell’Oltresarca avrebbe visto già in epoca imperiale e anche dopo le invasioni barbariche insediamenti agricoli ben strutturati. Il fulcro del paese è la piazza Giuseppe Caproni; la presenza più significativa è la chiesa parrocchiale dedicata a S. Giovanni Evangelista. Essa consta di un corpo architettonico antico, sottoposto a lavori di restauro nella seconda metà del Cinquecento. Verso il 1860 la struttura della chiesa venne profondamente modificata; si creò l’abside ed un altare laterale, si elevarono e consolidarono le muraglie perimetrali, si inglobò il campanile nella facciata. L’interno della chiesa presenta una struttura a tre navate; alcuni aspetti sono da osservare con cura. Pregevole è, ad esempio, la statua in stucco duro della Pietà risalente alla prima metà del secolo XV. Essa era custodita un tempo nella Collegiata di Arco. L’altare sul lato a Sud presenta una preziosa ancona in legno realizzata da Marco Sandelli detto il Moretto nel 1577. Al suo interno una tela con la Crocifissione opera del pittore Giovanni Antonio Zanoni di Massone (1603). Sul alto opposto vi è l’altare in marmo dedicato a Santa Lucia, patrona del paese; è opera del maestro lapicida Stefano Paina (prima metà del Settecento). Ai lati dell’altare sono le statue di S. Rocco e S. Valentino realizzate, in pietra locale, nel 1758 dallo scultore Francesco Faber, nativo di Innsbruck ma operante ad Arco. Di recente collocazione (1992) è la statua della Madonna di Loreto, opera di Umberto Zanin. La patrona degli aviatori ci riconduce all’illustre personaggio nato a Massone: Gianni Caproni. La casa natale del pioniere dell’aeronautica chiude la piazza ad occidente.

Un altro palazzo di grande interesse storico si trova poco distante dalla chiesa, al bivio della strada che conduce a Bolognano.

Fu nel Cinquecento la residenza della contessa Nostra di Castelbarco, consorte di Odorico il Giovane e poi di Vinciguerra d’Arco. La sua fu una vita tormentata per le continue controversie con la cognata Orsola di Cles. Accanto al palazzo vi era anticamente una fornace; ora è rimasto un monumentale porticato. Era in questo luogo che spesso si svolgevano le riunioni dei cittadini della comunità di Oltresarca. Il portale d’ingresso al cortile reca lo stemma dei conti d’Arco, del ramo di Odorico.

Il capitello a due nicchie nell’altra piccola piazza del paese ricorda due persone nate in epoche diverse a Massone, entrambe animate nella loro vita da grande spirito di solidarietà. Il primo è il medico Francesco Saverio Ribbia (1751‑1843), insigne benefattore dell’Ospitale di Arco; il secondo è padre Saverio Torboli, missionario trucidato in Mozambico nel 1984.

Il centro storico di San Martino si sviluppa attorno ad un’asse principale che percorre la base del colle su cui si trova, circondata dagli olivi, la bella chiesetta dedicata al santo vescovo di Tours. Di origini molto antiche (si ritiene fondata da un gruppo di monaci benedettini), nella seconda metà del Cinquecento la chiesina venne interessata da importanti interventi di ingrandimento. Il presbiterio ed il campanile risalgono a quest’epoca.

La chiesa è ad un’unica navata; ai lati del presbiterio due  altari; suggestivo nella sua semplicità è il tetto ligneo a carena di nave. Accurati lavori di restauro hanno messo in luce sulla parete Nord preziosi affreschi, disposti su due livelli, e risalenti con tutta probabilità alla seconda metà del Trecento. Potrebbero essere opera della scuola di Federico del fu Bonanno da Riva ed in particolare di suo figlio Giacomo da Riva, attivo in quel periodo nel Trentino. Un’opera più recente è invece la tela contenuta nell’altare ligneo di sinistra; rappresenta la Madonna col Bambino e, più sotto, S. Lucia e S. Apollonia; sullo sfondo il paesaggio di Arco. La tela è firmata Z.A. 1612, sigla che deve essere riferita al più volte menzionato pittore Giovanni Antonio Zanoni di Massone. Il piccolo sagrato antistante la chiesa è un balcone sulla valle; di fronte le rocce vive del Collodri e della rupe del Castello, macchiate qua e là dalle chiazze nere dei lecci.

Poco distante da San Martino, un viale segnato da secolari cipressi conduce al Convento dei frati cappuccini. Fondato nel 1585 per volontà dei conti d’Arco, sorse accanto alla preesistente, antica chiesetta di San Lorenzo (priorato spettante all’arciprete di Arco). Nel 1593 fu consacrata la nuova chiesa e la cappella sul dosso di San Lorenzo venne da quel momento un po’ trascurata.

La vita del convento fu sempre strettamente legata alla vicende storiche che interessarono il contado di Arco e, più generalmente, il Trentino. Alcuni cappuccini del convento di S. Martino diedero la vita prodigandosi nella cura degli appestati durante la grande epidemia del 1630. Nel 1787, per volontà dell’imperatore Giuseppe II, il convento venne soppresso; i frati tornarono nel 1800, ma per pochi anni. L’occupazione napoleonica li allontanò dal 1810  fino al 1816.

Dopo queste occupazioni (e spogliazioni) si procedette ad un’impegnativa opera di ricostruzione del convento, grazie anche alla generosa collaborazione delle comunità locali. Un’ultima minaccia per la comunità dei cappuccini fu rappresentata dalla Prima Guerra Mondiale. Alcune bombe caddero sul convento, danneggiandolo seriamente, ed i frati furono costretti ad abbandonarlo. Una recente opera di restauro ha saputo splendidamente mettere in  luce le sue peculiarità architettoniche.

Nella chiesa vi sono alcune tele di grande pregio artistico. Si veda, ad esempio, la pala dell’altare maggiore raffigurante la Vergine Santissima in un coro di angeli e con ai lati S. Francesco e S. Lorenzo; è opera del pittore veronese Paolo Farinati (1787). I quadri della Via Crucis sono stati dipinti da Giuseppe Craffonara (1790 ‑ 1837), pittore rivano, tra i più  validi artisti del periodo neoclassico in Trentino. L’affresco sotto vetro sulla parete Sud della chiesa proviene dalla Collegiata di Arco e raffigura forse l’antica Pieve.

Ultimo anello di questa formidabile collana (e forse la perla più bella) è la chiesa di San Rocco a Caneve di Arco. Essa venne edificata probabilmente negli ultimi decenni del Quattrocento per ricordare le nozze (1480 circa) fra il conte Odorico d’Arco e Susanna, contessa di Collalto, e presenta aspetti artistici e storici di notevole interesse.

Nel presbiterio, gli affreschi sulle pareti sono stati in parte intaccati dall’apertura di una porta, dall’ampliamento di una finestra e dalla collocazione sul fondo di un altare ligneo. Sulla parete Ovest si può ammirare una grande scena; rappresenta S. Rocco che, ammalato, viene soccorso da un cane bianco che gli porta del pane. È proprio su questa parete che sono in massima parte incise delle iscrizioni che ricordano fatti importanti accaduti in periodi diversi; la più antica risale al 1506 e ricorda una inusuale nevicata avvenuta sui monti circostanti nel mese di luglio. Il personaggio a lato che con una mano saluta è, con tutta probabilità, Odorico d’Arco; sulla parete opposta vi era quasi certamente la moglie Susanna che rispondeva al saluto. Sopra la medesima finestra, ora chiusa, vi è la sigla di Gaspare Rotaldo, pittore di Riva, artefice di parte di questi affreschi. Negli angoli sono rappresentati i castelli di Odorico (Arco) e di Susanna (Collalto ‑ Treviso). Sulla parete di fondo sono rimaste leggibili le grandi figure di S. Antonio con il maialino ai suoi piedi e di S. Fabiano papa, mentre si intravvedono le immagini di S. Sebastiano e di S. Rocco. Sulla volta sono raffigurati i simboli dei quattro evangelisti circondati da putti e da fascioni decorativi. Nella fascia più  bassa, le insegne dei due casati (Arco e Collalto) si alternano ad immagini di armi, scudi ed elmi. Sulle pareti dell’aula sono rappresentate invece le sequenze della Via Crucis, con il grande quadro della Crocifissione che sovrasta l’arco di accesso al presbiterio. Questi affreschi risalgono ai primi decenni del Cinquecento e sono probabile opera di Dionisio Bonmartini, operante in Arco nella prima metà del secolo XVI. L’affresco  nell’angolo di Sud‑Est rappresenta invece l’adorazione al Santissimo da parte di tre personaggi con ai lati le figure di S. Girolamo e di S. Rocco. I santi raffigurati nella pala dietro l’ostensorio sono S. Sebastiano con il corpo trafitto dalle frecce e S. Bernardino che mostra il proprio monogramma, “IHS” nel sole raggiante. Ma le presenze artistiche più rilevanti nella chiesa di S. Rocco sono le pale degli altari laterali e le loro predelle. Essi sono quasi certamente opera di Marcello Fogolino e della sua scuola; questo pittore di origine veneta fu uno dei massimi esponenti dell’arte pittorica trentina del Cinquecento. Al servizio di Bernardo Clesio, decorò molte stanze del Castello del Buonconsiglio a Trento. In omaggio al suo mecenate, Fogolino rappresenta nella pala a destra S. Vigilio il cui volto ha le sembianze del Clesio; ai lati del vescovo‑martire vi sono S. Girolamo con il leone e S. Antonio con il fuoco sul palmo della mano. Sull’altra pala la Madonna in trono con il Bambino è affiancata da S. Agostino e da S. Bernardino. Di grande vivacità sono le scene raffigurate nelle predelle; gli accostamenti cromatici, la precisione del segno, il movimento che sembra scaturire dall’atteggiarsi dei personaggi, sono la testimonianza più certa della mano di un grande artista.