Il 15 gennaio 1858 nasceva ad Arco Giovanni Segantini. La sua fu un’infanzia tormentata, vissuta in una famiglia colpita da lutti e dall’indigenza. Il padre Antonio, ridotto alla miseria dopo il fallimento di una modesta attività commerciale, abbandonò la famiglia per cercare fortuna a Milano. La madre Margherita de’ Girardi, che viveva di sussidi comunali, morì a trentasette anni. Giovanni venne allora affidato alla sorellastra Irene che viveva a Milano; nella grande città egli condusse una vita oziosa e vagabonda fino ad essere internato nel riformatorio Marchiondi.
Nel 1873 egli fu ospitato, per circa due anni, a Borgo Valsugana dal fratellastro Napoleone, proprietario di una bottega fotografica. È qui che forse il giovane Segantini avvertì la sua innata vocazione per l’arte pittorica. Tornò a Milano ed iniziò a studiare pittura frequentando i corsi dell’Accademia delle Belle Arti di Brera. La sua partecipazione a qualche esposizione lo fece apprezzare nel mondo artistico milanese; il mercante d’arte Vittore Grubicy diventò il suo mecenate.
Egli aveva conosciuto in quel periodo Bice Bugatti, che rimarrà la sua compagna per tutta la vita e dalla quale avrà quattro figli: Gottardo, Alberto, Mario e Bianca.
La carriera artistica di Segantini fu contrassegnata da brillanti affermazioni in varie esposizioni e dalla continua ricerca di nuove ispirazioni e di nuovi modi di dipingere. Verso il 1886 egli si avvicinò a quella che poi diventerà la sua scelta definitiva: il divisionismo. Ecco cosa scriveva G. Segantini in una sua lettera del 1896: “Stabilite sulla tela le linee esprimenti la mia volontà ideale, procedo alla colorazione, dirò così, sommaria come preparazione però più vicina alla verità che m’è possibile; e ciò faccio con sottili pennelli piuttosto lunghi, e incomincio a tempestare la mia tela di pennellate sottili, secche e grasse, lasciandovi sempre fra una pennellata e l’altra uno spazio interstizio che riempisco coi colori complementari, possibilmente quando il colore fondamentale è ancora fresco, acciochè il dipinto resti più fuso. Mescolare i colori sulla tavolozza è una strada che conduce verso il nero; più puri saranno i colori che getteremo sulla tela, meglio condurremo il nostro dipinto verso la luce, I’aria e la verità” .
La vita contadina, i paesaggi di montagna, le figure semplici del borgo, trovarono nelle tele di Segantini splendida rappresentazione; basti ricordare alcuni suoi capolavori: Ave Maria a trasbordo, Alla stanga, Le due madri, Mezzogiorno sulle Alpi, il Trittico della natura.
Segantini visse in Brianza, a Savognino, nelle Alpi giorgionesi, e infine nel suo rifugio di Maloja. Scriveva nel 1898: “Io continuo così a lavorare alla mia opera poetica dell’ intimo sentimento delle cose della Natura, accarezzando col pennello i fili d’ erba, i fiori, gli animali e l’uomo”. Nel settembre del 1899 egli salì allo Schafberg (2.700 m. di altitudine) per lavorare al “Trittico”; è lì che venne colto da un violento attacco di peritonite che lo portò rapidamente alla morte. Ma le sue opere l’avevano reso immortale!
Il 28 settembre 1899 moriva a Maloja, in Engadina, il pittore Giovanni Segantini. A cento anni dalla morte, Arco ed il Trentino ricordano il grande maestro del divisionismo italiano.
Così scrive Giovanni Segantini nella sua autobiografia, vincendo la ritrosia che gli aveva impedito, fino ad allora, di parlare della sua infanzia. La famiglia del padre, Agostino Segatini, era originaria di Bussolengo, ma nella seconda metà del Settecento si era trasferita ad Ala. Antonio Segatini (nonno del pittore) viene segnato nei registri del Decanato di Ala «Veronensis nunc incola Alae»; praticava l’arte del canapino, del tessitore. |
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Il Governo austriaco nel 1902 dedica a Segantini una splendida monografia illustrata, opera di Franz Servaes. Ernesta Bittanti Battisti scrive nel 1905 un saggio su Segantini che si conclude con questa affermazione: «Segantini non aveva ancor detta, in arte, la sua ultima parola. Si sarebbe forse trasformato ancora, unificando le sue qualità, ritrovando tutto se stesso, se la morte non avesse spento quegli occhi, che “sapevano” così bene la luce, e irrigidita quella mano che rapiva al sole i raggi per guidarli a brillare sulle tele». Nel 1909 si inaugura ad Arco il bel monumento a Giovanni Segantini opera dello scultore Leonardo Bistolfi. |
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Nel 1948 e nel 1949, a cinquant’anni dalla morte, si tengono conferenze sulla sua arte. Le vicende della sua vita vengono romanzate. Nel 1958, in occasione del centenario dalla nascita, viene organizzata ad Arco una mostra dedicata al maestro del divisionismo nello storico palazzo Marchetti, già dei conti d’Arco. Nel 1987 si tiene al Palazzo delle Albere, a Trento, una grande mostra antologica dedicata a Segantini. |
“Dal Trentino all’Engadina” conferenza della prof.ssa Annie Paule Quinsac |
La mostra dedicata a Segantini presso la sede centrale della Cassa Rurale di Arco ha trovato una magnifica integrazione nell’intervento della prof.sa Annie Paule Quinsac, docente di Storia dell’Arte presso l’Università del South Carolina e massima esperta dell’arte segantiniana. Il suo “Segantini – Catalogo generale” rimane, e rimarrà, una pietra miliare nello studio del maestro del divisionismo, una miniera ricchissima a cui riferirsi per avere un’immagine esauriente dell’evoluzione nell’opera di Giovanni Segantini. Occorre ricordare anche un’altra sua opera «Segantini – Trent’anni di vita artistica nei carteggi inediti dell’artista e dei suoi mecenati», da cui emerge un’inedita immagine di Segantini, tessitore infaticabile di rapporti epistolari con amici, critici, mercanti e pittori. Hanno fatto gli onori di casa il Presidente della Cassa Rurale di Arco – Garda Trentino, rag. Marco Modena, ed il prof. Romano Turrini.
Nel ricordare brevemente le vicende tristi che hanno contraddistinto l’infanzia e l’adolescenza del nostro illustre concittadino, la professoressa ha rimarcato come quelle esperienze di vita abbiano, senza dubbio, segnato il suo spirito e si siano successivamente manifestate anche nelle opere più mature. Quel desiderio della luce, dell’aria, della natura, della montagna, che egli riferiva al suo essere trentino, diventerà, mitizzato, una delle motivazioni principali che ispirarono la sua opera. La sua non è stata un’arte mite, ma, come diceva D’Annunzio nel poema che ricorda la morte di Segantini, era un’arte “dolce e rude” che fa di lui un pittore unico nel panorama della fine dell’Ottocento.
Egli passa nel suo dipingere da una pittura tonale, fondata sul contrasto fra il chiaro e lo scuro, ad una pittura che si basava sulla ricerca della luce nel colore, carattere primario dell’arte moderna.
La luce per Segantini è un elemento mistico che rende possibile l’armonia che si respira nelle “componenti” i suoi quadri; la luce è la relazione, è la manifestazione del divino nel creato.
Annie Paule Quinsac ha invitato i presenti a compiere, assieme a lei, un viaggio a ritroso nell’arte di Segantini, partendo da quello che lei ha definito il suo testamento incompiuto, “Il Trittico della natura”, opera pregna dei caratteri del naturalismo e del simbolismo, non contrastanti fra di loro, ma in sintonia. La professoressa ha ricordato che l’opera fu l’alternativa scelta dal maestro ad un progetto ancor più grandioso, promozionale per gli stupendi paesaggi dell’Engadina, destinato all’Esposizione universale di Parigi del 1900, e non realizzato, essenzialmente, per il venir meno dei necessari finanziamenti.
Il modo di dipingere la natura dentro la natura, applicato da Segantini era unico; egli costruiva una struttura che doveva sostenere e proteggere il cavalletto, avendo così la possibilità di rielaborare la sua opera “in fieri“, in un impegno che poteva durare mesi. Segantini non rappresentava, come gli impressionisti, la natura in un determinato momento ma la coglieva nella sua evoluzione, ispirato dal suo pensiero; un luogo della mente quindi, così come un luogo reale.
Annie Paule Quinsac ha sottolineato come i grandi quadri che compongono il Trittico diano la possibilità al visitatore di calarsi, di immergersi dentro il panorama rappresentato. Nelle tre opere compaiono riferimenti precisi al paesaggio dell’Engadina, uniti ad aspetti simbolici, prime fra tutte le nuvole. Basti pensare alla grande nuvola che sovrasta il paesaggio innevato della Morte, una nuvola particolare, che raramente ci è dato di osservare in cielo, ma che l’artista ricrea come segno premonitore di un destino arrivato al suo termine. Lo stesso studio delle nuvole che si riscontra ne La raccolta del fieno, nuvole chiare e soprattutto scure che incombono sul paesaggio ove la contadina non è presenza emergente, ma fa parte di una rappresentazione armonica.
La professoressa si è soffermata poi su due opere: Le cattive madri, un dipinto, l’altro Il castigo delle lussuriose, un graffito (o uno sgraffito), che fanno parte entrambe di un ciclo in cui la pittura di Segantini riflette chiaramente le sue esperienze di vita, le sue emozioni. Opere simboliste che non vennero accolte favorevolmente dalla critica del momento, se si eccettua l’ambiente viennese della Secessione. I toni di questi due quadri insistono sul blu, sul grigio e sul bianco creando una particolare atmosfera, livida e desolata, e suscitando particolari emozioni. Queste opere furono ispirate dal poema di Illica, Nirvana, legato, si diceva, ad influenze buddiste, ma in effetti alimentato nelle sue tematiche da un’opera d’epoca medioevale.
A Savognino, nel Canton Grigioni, Segantini realizza la rappresentazione solare de La ragazza che fa la calza, uno dei suoi capolavori. Questo quadro suscita emozioni che la Quinsac definisce “tattili”, con il vello delle pecore e l’erba del prato che sembra aspettino una nostra carezza. Viene in mente lo scritto del maestro: «..accarezzando con il pennello i fili d’erba, i fiori, l’animale e l’uomo». Così pure a Savognino Segantini realizzò le altre due opere su cui si è soffermata la professoressa: La portatrice d’acqua, calata entro uno scorcio che raffigura un cortile di casa, e poi Nell’ovile con la lampada che funge dal fulcro, che irradia luce tenue a delineare appena i contorni degli animali e la pastora. Mentre per il primo quadro Segantini ha dipinto a pennellate larghe, nel secondo si nota un fraseggio più minuto e quindi più vicino alla scelte divisioniste.
Lo schermo si è poi riempito della grande immagine dell’Ave Maria a trasbordo, tematica sviluppata per due volte da Segantini. È la seconda versione, quella del 1886, la migliore; Segantini la realizzò secondo le indicazioni di Vittore Grubicy che lo volle avvicinare alla tecnica del divisionismo. L’armonia, il senso di pace che regnano nel quadro, con i suoi protagonisti umani che possono essere assimilati ad una Sacra Famiglia, fa di quest’opera una delle più significative del periodo.
Annie Paule Quinsac è arrivata poi ai quadri in cui Segantini faceva uso della tecnica tonale, fondata sul contrasto fra chiari e scuri. Un gregge avanza, guidato da un pastore; se ne colgono appena i profili, delineati da una luce che sta alle loro spalle.
Singolare è poi la vicenda che accompagna l’opera A messa prima, nata originariamente con una certa intenzione narrativa e con un altro titolo: I commenti dei maligni. Nella prima “stesura” del quadro infatti Segantini aveva raffigurato una giovane donna che, accompagnata da un cagnolino, scendeva la scalinata che porta alla chiesa di Veduggio. Alle sue spalle, al culmine della scalinata, alcune figure mostrano di esprimere commenti maligni su di lei. Questa prima versione, esposta a Torino nel 1883, venne però modificata dal maestro che la giudicò forse un po’ banale; egli cancellò i protagonisti della scena, ed inserì invece la figura di un prete con la tonaca nera ed il cappello a tricorno che sale lentamente la scalinata. La professoressa Quinsac ha fatto notare come Segantini abbia modificato la reale collocazione della chiesa, operando una variazione speculare, liberando il culmine della scalinata da ogni presenza architettonica e dando quindi piena luce ad una scena che acquista così grande senso mistico: la scalinata in effetti non porta verso la chiesa, ma direttamente al cielo!
Come ultima immagine è stata presentata una natura morta, Funghi. La professoressa ha ricordato l’esperienza di Segantini come apprendista fotografo presso il fratellastro Napoleone a Borgo Valsugana; esperienza che gli deve essere servita nel catturare la realtà, così come essa si presenta, e quindi soprattutto nella realizzazione di nature morte.
E questo quadro è stato il punto di partenza per ritornare, questa volta secondo un ordine cronologico, a rivedere alcune delle opere più note di Segantini. È stata l’occasione per la professoressa Quinsac per aggiungere qualche altra considerazione o per sintetizzare quanto detto in precedenza.
Un pubblico, folto ed attento, ha seguito l’avvincente esposizione di Annie Paule Quinsac che si muoveva davanti ai grandi teli su cui erano proiettate le immagini dei quadri, dialogando quasi, vivacemente e intensamente, con le persone che nel buio della sala la stavano ad ascoltare.
Un successo quindi, che l’impegno, la scrupolosità e l’entusiasmo di chi ha organizzato la serata meritava. Si è riallacciato un rapporto con Annie Paule Quinsac che ha assicurato la sua presenza alla presentazione del volume “Arco ed il Trentino per Segantini”, in occasione della Rassegna dell’Editoria gardesana che si terrà a novembre. Ancora una volta la Cassa Rurale di Arco ha offerto alla comunità un’occasione per crescere dentro; e la risposta è stata, anche questa volta, positiva.