Come si è detto in precedenza, in epoca medioevale Arco venne cinta di mura, così com’era consuetudine per molte città. Al borgo si accedeva attraverso quattro porte; quella meridionale era detta di S. Pietro. Poco distante da quella porta si trovava infatti anticamente la chiesa di S. Pietro con annesso un convento dei monaci detti i “Battuti”. La residenza signorile che, internamente alla città, si trovava più vicina all’ingresso sud, era il palazzo di S. Pietro, ora comunemente chiamato palazzo Marchetti.
Difficile è stabilire l’epoca esatta di edificazione del palazzo; sicuramente un primo nucleo può esser sorto verso la fine del secolo XV. La data 1510 sopra l’affresco rappresentante la Madonna con Bambino e S. Antonio sulla parete nord del Palazzo, in via Ferrera, fornisce attendibile conferma a questa ipotesi.
La data 1550, incisa sopra il maestoso portale della facciata Sud, ricorda probabilmente un importante intervento di ristrutturazione compiuta dal conte Felice d’Arco.
Appoggiata al palazzo, sul lato Ovest, vi era una torre, da cui si controllava l’ingresso principale alla città; il suo abbattimento, avvenuto nel 1844, è ricordato da una scritta su fondo nero che interrompe il fregio sommitale.
Agli inizi del secolo XVI la giurisdizione di Arco venne divisa in due parti, spettanti una al conte Andrea d’Arco e l’altra ad Odorico, suo fratello.
Il palazzo di S. Pietro era la residenza del primo; e quindi appartenne per secoli ai conti d’Arco del ramo di Andrea. Lo stemma della famiglia è visibile sopra l’ingresso sul lato Ovest, all’imboccatura di via Ferrera.
Verso la fine del Settecento il palazzo venne abbandonato dai conti d’Arco in quanto i nobili proprietari, imparentatisi con le famiglie Chieppio e Ardizzoni di Mantova, risiedevano ormai stabilmente nella città lombarda. Andò quindi ad abitarvi la famiglia del giudice dott. Saverio Marchetti (originaria di Bolbeno nelle Giudicarie) che acquistò successivamente il palazzo.
Da allora, questa famiglia, che annovera fra i suoi appartenenti figure gloriose della storia trentina, ha custodito come un bene prezioso questo palazzo. Occorre qui ricordare Prospero Marchetti (1822-1884), rappresentante di viva italianità, protagonista delle prime lotte per la liberazione dalla dominazione austriaca, fondatore della S.A.T., promotore, quale podestà di Arco, del Luogo di Cura. Suo fratello Giacomo (1817-1883) fu anch’egli attivo nel ricercare soluzioni per l’unione del Trentino al resto dei territori italiani. E suo figlio Carlo (1858 – 1913) , ingegnere, continuò l’opera dello zio Prospero; a lui si devono quasi tutti i progetti delle ville che sorgono ad Arco negli ultimi anni dell’ottocento.
Infine vi è un altro Prospero, nipote del primo, che diviene il sindaco di Arco italiana nel dicembre del 1918.
Pregevole nella sua struttura a ferro di cavallo, con un ampio cortile interno, cui si accede attraverso un magnifico portale ed un portico con cancello, il palazzo presenta alcuni aspetti artistici di indubbio interesse. Il sottogronda affrescato, leggibile soprattutto sulle facciate Ovest e Sud, presenta scene d’argomento sacro (il re Salomone e le due donne che si contendono un bambino) e soprattutto profano; gli affreschi sono stati realizzati in epoche diverse, probabilmente ad opera di vari pittori. Nei primi riquadri del sottogronda verso piazza Prospero Marchetti è forse riconoscibile la mano di Dionisio Bonmartini, pittore che ritroveremo trattando del Palazzo del Termine e della Chiesa di S.Rocco a Caneve. Il fregio sulla facciata a Sud è stato in parte danneggiato da bombardamenti durante la Prima Guerra mondiale; si noti la scritta “Fare e disfare è vizio e fortuna della società umana”.
Altri affreschi sono visibili nelle sale interne, dove è inoltre possibile ammirare uno splendido caminetto sovrastato dallo stemma che racchiude le insegne del casato d’Arco e degli Avogadro. Al primo piano si trova una grande sala con la fascia sommitale affrescata con motivi mitologici ed ornamentali. Oltre ad alcuni ritratti di conti d’Arco, vi è un grande dipinto con l’albero genealogico dei d’Arco; fanno da cornice gli stemmi delle famiglie con cui i nobili del luogo si imparentarono.
Ma il principale segno di riconoscimento del Palazzo di S. Pietro sono forse gli imponenti camini “alla veneziana” che svettano verso l’azzurro del cielo e guidano lo sguardo lassù, verso il Castello.