Natura, territorio e clima.

Se la storia di Arco è ricca di aspetti di grande interesse, se il castello, i palazzi e le chiese sono monumenti in cui l’arte è manifestazione chiara di civiltà in progresso, aperta a sempre nuovi orizzonti, l’ambiente naturale in cui Arco è collocata è altrettanto unico. Agli occhi di chi arriva in Arco dalla vallate limitrofe appaiono scenari sempre diversi: il verde cangiante della vegetazione, le rocce lambite o baciate dal sole, le colline dell’olivaia con i muri a secco, i lecci che vincono gli strapiombi, le campagne fertili e ben coltivate, le giogaie di monti e, in lontananza, le acque azzurre del Garda.

mmimosa magnolia lago bosco arcoalto
Arco si trova nella conca del Basso Sarca, nel Trentino meridionale; il suo territorio fa parte del bacino idrografico dell’immissario del Lago di Garda: il fiume Sarca, che nasce dai ghiacciai del Gruppo Adamello-Presanella. Ma un’altra nomenclatura è tornata in uso per definire questo territorio, velata di una patina antica e quindi forte di nobili caratteri: il Sommolago. Ed in questo dualismo sta l’unicità del territorio arcense: se infatti la pianura con i suoi parchi e giardini, è impregnata di toni mediterranei dovuti a fattori diversi, le vette dei monti circostanti delimitano un areale tipicamente alpino. Dagli olivi ai mughi, scrive Richard Keller nel libro “Arco nel suo verde”, e mai immagine è stata più chiara nella sua semplicità per rappresentare la varietà di situazioni climatiche presenti nel Basso Sarca (o Sommolago).

La valle, di chiara origine glaciale, presenta, in vicinanza di Arco, un fondovalle alluvionale delimitato ad Est ed Ovest da catene montuose dalle diverse caratteristiche. Il fianco orientale presenta un profilo piuttosto uniforme, verde di prati e di boschi, dominato dal M. Stivo (m. 2059) e terminante verso il lago con la propaggine del M. Creino. Il fianco occidentale invece è segnato da rilievi nudi ed aspri. La “fortezza” rocciosa del M. Collodri precede la rupe del Castello. Più ad Ovest, oltre la valletta di Làghel, si incontra la collina del Baòne e più in là ancora la dorsale culminante nel M. Biaìna(m. 1413). A chiudere a Nord-Ovest la valle sorgono il Monte S. Pietro e il Monte Misone (m.1804). Ma anche questi rilievi, così mossi nella loro struttura, s’addolciscono nelle loro falde ospitando i gradoni argentei dell’olivaia.

Ad eccezione dell’apertura valliva verso Nord, il territorio di Arco risulta un grande anfiteatro, avanti al quale si distende un’ampia campagna, costellata qua e là di centri abitati e case sparse; un lembo del territorio del Comune di Arco arriva fin sulla sponda del Benaco. Ed è proprio questo anfiteatro la nicchia naturale entro cui sussiste una situazione climatica favorevole, grazie alla concomitante presenza di fattori benefici.

Scriveva nel XVI secolo Scipione de Castro, un portoghese ospite dei Conti d’Arco: «In questo tempo, per quanto si sia ai primi di dicembre, mi par di vivere nel paradiso terrestre, un’eterna primavera di fiori, di frutta, di un mitissimo clima, che mi ridona le forze e la salute…Un paese che potrebbe esser cantato da greci e da latini».

Allo sbocciare dell’epoca felice del Kurort, numerose guide turistiche esaltarono il clima di Arco, facendolo conoscere soprattutto agli ospiti mitteleuropei. Le osservazioni sistematiche compiute in quell’epoca e poi quelle effettuate a partire dal 1949, prima per iniziativa dell’Associazione Medica del Centro Sanatoriale e poi dall’Azienda Autonoma di Cura e Soggiorno (ora A.P.T. del Garda Trentino), forniscono dati sufficienti per tracciare un quadro scientificamente valido della situazione climatica di Arco.

Vi sono caratteri peculiari quali le precipitazioni, l’eliofania, lo spirare dei venti, la presenza termoregolatrice del Garda che insieme determinano il clima di Arco, comunemente definito mite.

L’inverno presenta in media pochi giorni di gelo, circa 17; le temperature minime in questi giorni raggiungono al massimo -5°C. Le precipitazioni sono scarse; la neve cade di rado e non rimane che poche ore sul fondovalle. Caratteristica del clima invernale di Arco è che l’umidità relativa dell’aria in gennaio e febbraio risulta minore che in tutti gli altri mesi; ciò comporta la quasi totale assenza di nebbia. Nei parchi, a dicembre e gennaio, si diffonde il profumo inconfondibile dei fiori di calicanto. Poi tra i ceppi cavi degli olivi spuntano le viole mammole ed i pendii delle colline circostanti si macchiano del giallo delle primule e del rosso scuro delle eriche.

In primavera la temperatura sale rapidamente; di giorno oscilla fra i 15 e i 25° C, mentre due notti su tre presentano temperature superiori a 8°C. Verso la fine del mese di marzo comincia a farsi sentire il regime locale dei venti periodici, con la brezza di lago e la brezza di terra. All’inizio di marzo le siepi splendono delle lunghe aste gialle delle forsizie o dei boccioli rossi del piracanto. Negli orti i mandorli in fiore segnano per primi l’avvento della stagione amica e le mimose offrono i loro fiori.

L’estate di Arco è calda; la media delle temperature massime è, in luglio, di 28,4°C e in agosto di 27,2°C. Ma, grazie all’òra del Garda che spira soprattutto nel pomeriggio e alla brezza di monte che scende nella notte verso il piano, i giorni d’estate risultano scarsamente afosi. Raramente l’estate è caratterizzata da totale siccità; si verificano invece precipitazioni di breve durata ma intense, così da togliere poche ore di insolazione. Già in maggio gli orti, i giardini ed i parchi si sono vestiti a festa: il lillà, il maggiociondolo, le ginestre, le magnolie, le rose creano cocktails inebrianti per chi vuole immergersi nella natura. Poi in giugno la bianca pioggia dei fiori d’olivo si diffonde ovunque.

L’autunno è la stagione delle piogge nel settore settentrionale del Mediterraneo e così è anche ad Arco; ottobre e novembre sono i mesi con la massima somma di precipitazioni. Ma se il sole rimane padrone del cielo per diversi giorni, allora la natura rivela i suoi mille colori. Le rocce sembrano brillare più calde, punteggiate dai cespugli rossastri dello scotano; il cielo è più terso, a disegnare felici scenari di operosità per la vendemmia e la raccolta della frutta. Nell’olivaia i contadini appoggiano le lunghe scale ai tronchi contorti degli olivi; le bacche nere e verdi saltellano nei teli e vanno a gonfiare i grandi sacchi di iuta da portare al torchio. Negli orti e lungo i canali piante maestose di cachi offrono luminarie arancione ed i frutti dei melograni si aprono in uno splendido sorriso.

Questa naturalmente è la situazione climatica di Arco nella parte del suo territorio collocata nel già citato anfiteatro o nicchia mediterranea. Salendo lungo i fianchi delle montagne circostanti, l’altitudine modella gli aspetti stagionali, ma i benefici del clima mediterraneo non spariscono del tutto.

E se la neve primaverile incappuccerà la cima dello Stivo, la osserveremo tra i rami fioriti della magnolia.

Il miglior parametro che permette di studiare, in termini realistici, il clima di un certo territorio è senza dubbio lo sviluppo della vegetazione spontanea. Se gli impianti agricoli ed il verde di parchi e giardini godono della cura dell’uomo che studia la loro collocazione e che sa temperare, almeno in parte, le impreviste “offese” climatiche, le erbe, gli arbusti e le piante che crescono spontaneamente sono indice, invece, di adattamento naturale, sono testimonianze bioclimatiche di estremo valore, che possono variare, nella loro tipologia, anche entro brevi distanze.

Ebbene, il territorio del comune di Arco offre una sorpendente varietà di ambienti naturali, grandi tessere di un puzzle, caratterizzate ognuna da specie vegetazionali che si compenetrano lungo confini non rigidamente definiti.

Si offriranno qui solo alcuni cenni sulle specie più diffuse, sottolineando soprattutto l’aspetto della “stratificazione” della flora in ambiti territoriali ristretti.

Nel fondovalle, la campagna con le varie coltivazioni lascia poco spazio al verde spontaneo, ma lungo i margini dei campi, sui bordi dei canali, lungo i muretti non è infrequente imbattersi in siepi di rovo delle more, nella pianta perenne dell’assenzio, nell’erba cipressina, in ciuffi di malva.

Ma è forse la collina l’ambiente che offre una più vasta gamma di “occasioni” vegetali spontanee. Lungo i pendii soleggiati troviamo le ginestre; sottili nei loro steli eppure così resistenti, esse inondano l’aria con il profumo dolce dei loro fiori gialli. L’albero di Giuda risalta nella boscaglia per la vistosa fioritura rosso-violacea. Nelle fratture delle rocce, abbarbicati alle ripide pareti come tanti freeclimbers, crescono i lecci. Essi sono, accanto all’olivo, il simbolo della mediterraneità del Basso Sarca; e si ritrovano ad altitudini incredibili, disseminati entro habitat per loro comunemente inospitali. Lungo il fianco del M. Stivo si ritrovano lecci alla quota di m. 1.300. E quando il leccio crea, sui pendii e nei pianori, una fitta boscaglia, fa la sua comparsa il pungitopo, una specie protetta dalla legge provinciale.

Non si possono dimenticare la menta, la ruta, la lavanda e il rosmarino; le ultime due coltivate e poi inselvatichite nei luoghi più propizi. Un po’ ovunque, ai margini delle strade, lungo i ghiaioni calcarei, si ritrova la valeriana rossa dalle infiorescenze a corimbi. E così è diffuso anche lo scotano, un arbusto dalle larghe foglie ovoidali che in autunno assumono tonalità rosse ed arancio stupende. Fino al secolo scorso esse venivano usate per la concia delle pelli.

Salendo lungo i dossi incontriamo pini neri, melograni selvatici, frassini, allori, roverelle, ornielli, carpini neri; tutte piante che allignano su terreni ostili e che esse stesse sanno migliorare con un crescente apporto di humus.

Se si sale oltre si entra nel regno del nocciolo, del maggiociondolo e del castagno. Seguono poi le faggete, gli abeti rossi, i larici ed infine i mughi. Nei prati, fra i tanti fiori, si segnalano l’aquilegia, il giglio rosso,la genziana, il veratro, la negritella.

Attorno alla vetta dello Stivo crescono i rododendri e le stelle alpine.

Tutte queste piante, questi arbusti, queste erbe si sviluppano secondo ritmi naturali, protette da particolari condizioni ambientali. A noi tutti spetta il compito di rispettarle e di favorirne la propagazione, ma il primo passo da compiere sarà quello di accorgersi di loro!

La pianura che si distende lungo il corso del fiume Sarca e poi si apre fino a morire sulle rive del lago di Garda è coltivata in modo ordinato e razionale. La coltura più diffusa è quella della vite.

«Ea sunt vina qua inter Rhaetica primum locum tenent» scriveva lo storico Ambrogio Franco nel XVII secolo. Le viti, anticamente, venivano consociate al gelso, all’olmo, oppure erano sostenute singolarmente con un palo. Solo più tardi si ricorse alla potatura a pergola. Pali di castagno, a cui erano fissate traversine in legno di larice, costituivano la struttura portante. I pergolati erano distanti fra loro anche 7-8 metri; negli spazi intermedi, e fin sotto le viti, si coltivavano il mais, le patate, i fagioli ed altro. Spesso le stesse colonne di sostegno erano costituite da alberi di prugno. A partire dagli anni sessanta una ventata di razionalizzazione percorse le campagne del Basso Sarca. I nuovi impianti videro i filari più ravvicinati fra di loro (circa 5 metri di distanza), ai pali di castagno si sostituirono le colonne in cemento, fu eliminata la consociazione con altre colture, vennero introdotte varietà di uve pregiate (Merlot, Chardonnay, Cabernet, Moscato ecc.). Inoltre si è provveduto ad organizzare, rendendola più capillare e funzionale, la rete irrigua sul territorio. Ora i vigneti del Basso Sarca fanno bella mostra di sè e sono un elemento caratterizzante del paesaggio agricolo locale.

Accanto ai vigneti troviamo sempre più ampi frutteti. Questa scelta agricola ha fatto la sua comparsa nel Basso Sarca alla fine degli anni Cinquanta. Si sono cominciati a coltivare i meli e poi i kiwi; alle piante di susine, un tempo disseminate nei campi, sono stati dedicati spazi particolari. Anche questo tipo di coltura è andato via via specializzandosi, soprattutto seguendo le scelte di mercato e quindi provvedendo ai necessari reimpianti. Il prodotto locale viene, in massima parte, conferito al magazzino della Cooperativa Contadini del Basso Sarca a Dro.

Lo spazio agricolo nel fondovalle, sebbene ridotto rispetto alla situazione di 30-40 anni fa, riserva ancora angoli suggestivi e soprattutto itinerari percorribili a piedi e in bicicletta, dove è possibile gustare il silenzio ritemprante della campagna. Nel Basso Sarca è presente infatti una vasta rete di strade interpoderali; a fianco di alcune scorrono ancora gli antichi canali d’irrigazione, localmente chiamati “fitte”.

Il paesaggio cambia quando ci si immerge nell’olivaia. Questo ambiente ha una propria architettura, dove l’intercalare dei muretti a secco che reggono e delimitano terrazzi più o meno ampi crea una sorta di armonia incredibilmente unica. Il paesaggio dell’olivaia sa sempre di sole, non opprime, ma si apre sulla valle in mille prospettive, mai uguali a se stesse. Gli olivi sono una coltura antica e i loro tronchi contorti sono monumenti che sanno di sofferenza e di gioia di vivere, al tempo stesso. Gli incavi che si possono notare sulle piante più vecchie sono dovuti al lavoro dell’uomo che ha tolto il marciume dovuto alla “carie” del legno, provocata da un fungo del tipo Polyporus. In altri casi si possono notare due o più polloni (che diventeranno poi dei tronchi) svilupparsi da un medesimo ceppo. Infatti, quando l’antico tronco “muore” per cause diverse (gelo o malattia) lo si taglia; dalle radici si sviluppano ben presto molti germogli; se ne conservano solo alcuni che si trasformeranno in forti polloni.

L’olivaia è raggiungibile tramite strade e sentieri. Negli ultimi anni si è favorita la realizzazione di stradine, ovviamente destinate ai soli mezzi agricoli; questo per permettere una maggior cura, sia nella concimazione che nei trattamenti anticrittogamici. Un’ultima caratteristica va segnalata: l’olivaia di Arco è diffusa per buona parte su terreno comunale. Il contadino è proprietario (o affittuario) della pianta e non del suolo. Come segno distintivo i contadini appongono sui tronchi degli alberi delle sigle con colori diversi.

Le olive si raccolgono a partire da novembre (“da S. Martin posta el scalin”). I contadini si servono di lunghe scale a pioli (in legno o in ferro) che piantano a terra e appoggiano ai rami assicurandole con una cordicella. Tutt’intorno all’olivo si stendono ampi teli di iuta per raccogliere le olive che vengono fatte cadere passando i rametti con una sorta di pettine. Un tempo i contadini preferivano far cadere le olive entro una piccola cesta che tenevano appesa alla cintura. L’uso della pertica di bambù viene limitato alle parti meno accessibili della pianta in quanto dannoso per i rametti più teneri.

Le olive, conservate in luogo fresco ed asciutto per impedire il diffondersi di muffe, vengono poi portate al torchio per la molitura. L’olio extravergine prodotto localmente è ricco di vitamina E, facilita la diminuzione del colestorolo nel sangue; a digiuno ha funzione lassativa ed è benefico per i disturbi cardiocircolatori.

Possiamo infine parlare di coltivazione del bosco. Anche se nel Basso Sarca non esistono tradizioni secolari radicate come in altre vallate trentine, da qualche decennio si è prestata comunque maggior attenzione alla silvicoltura. Si sono fatti massici rimboschimenti (il primo a compierli fu Gianni Caproni, pioniere dell’aeronautica), si sono tracciate strade tagliafuoco, si è fatto pulizia del sottobosco infestante. E così anche i boschi sui monti di Arco hanno assunto un loro fascino, ed inoltre producono ogni anno quintali di ottima legna da ardere e da costruzione.

All’interno dei boschi, ad un’altitudine che varia fra i 400 e gli 800 metri, s’incontrano gigantesche piante di castagno; soprattutto nella zona di Pianaura, Troiana e Carobbi esse caratterizzano il bosco con la loro chioma maestosa.

Dopo le piante spontanee e quelle coltivate per l’alimentazione dell’uomo, è il verde dei giardini e dei parchi, il verde “d’ornamento” che occupa un posto di riguardo nell’ambiente di Arco, anche se la netta distinzione fra i tre settori risulta molto spesso difficile da compiere. Infatti può accadere che una pianta messa a dimora in un giardino si diffonda ed attecchisca in modo spontaneo anche altrove (l’esempio più classico è quello della palma della Cina); come si può ritrovare un pergolato di viti o di kiwi in un giardino, creato sia per avere una produzione familiare di frutta che per ottenere zone d’ombra.

Ad Arco i giardini pubblici vennero realizzati all’epoca del Kurort (dal 1872 in poi), nello spazio a Sud e Sud-Ovest della chiesa collegiata, su progetto dell’ing. Saverio Tamanini, per una loro fruizione nelle diverse situazioni stagionali.

A Sud di piazzale Segantini vi sono infatti i giardini d’estate con conifere e piante caducifoglie dall’ampia chioma; fra esse si distingue un imponente cedro dell’Himalaya. In questi giardini sono presenti il monumento a Giovanni Segantini e quello ai caduti di guerra. Inoltre vi sono alcune strutture per il gioco dei bambini.

Nell’area sud del Casinò Municipale si aprono invece i giardini d’inverno. Un lungo viale di palme della Cina, sul cui tronco sono avviluppati gelsomini o rose, invita al passeggio. Altre isole di verde sono rappresentate dal bananeto e da un gruppo di palme da dattero.

È in questi giardini che è collocato il piccolo osservatorio metereologico. In questo stesso viale, ai tempi del Kurort, gli ospiti passeggiavano ascoltando un’orchestra che suonava sotto il gazebo; vi era un tale rispetto per quello spazio che era assolutamente vietato fumare.

A far da connessione fra i due giardini vi è la zona verde antistante la Villa Igea (sede centrale della Cassa Rurale di Arco); il giardino, realizzato di recente, presenta molte varietà sia arboree che arbustive, raggruppate in ambientazioni caratterizzanti.

A Nord del Casinò Municipale vi è il Viale delle Magnolie che conduce da piazzale Segantini alla “Rotonda” dov’è posto, circondato da una corona di cipressi, il monumento all’Arciduca Alberto d’Asburgo.

Ma se il verde pubblico è concentrato nell’area sopra descritta, il verde “privato” è invece disseminato lungo direttrici diverse. Questi giardini sono stati voluti per abbellire per lo più le splendide ville del Kurort.

I proprietari facevano a gara per possedere qualche varietà mediterranea particolare o addirittura esotica. Anche se la loro fruizione non è consentita al pubblico (salvo autorizzazione del proprietario) essi rappresentano un valore inestimabile per il patrimonio naturale di Arco. Come non ricordare allora il parco dell’Istituto Bellavista lungo la via XXIV Maggio, o quello della Villa Angerer (ex Sanaclero) a Chiarano, ricchi entrambi di varietà rare.