Le chiese

A far da corona alla Collegiata troviamo altre chiese, disseminate nel centro storico o nell’immediata periferia di Arco; ognuna con la sua storia pregna di fede e di tradizioni, con le sue peculiarità architettoniche ed artistiche che la fanno emergere nel tessuto della città.

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Poco distante dalla Collegiata troviamo la chiesa di S. Anna, sanna un tempo chiamata di S. Andrea o della Disciplina. Fu probabilmente costruita o riedificata con le pietre dell’antica chiesa di S. Pietro che un tempo sorgeva nei pressi della porta meridionale della città.

Di un certo interesse è la grande tela presente nella sacrestia; raffigura S. Andrea ed altri santi ed è opera di Giovanni Antonio Zanoni di Massone.

All’inizio della Via Segantini, nei pressi del ponte, vi è la chiesetta di S. Giuseppe, realizzata per volontà del conte Vinciguerra d’Arco.

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Nel mezzo del rione di Stranfora, accanto agli edifici che costituirono l’antico Ospitale di Arco, vi è la chiesa di S. Bernardino, edificata nei primi decenni del Seicento. L’altare è opera di Domenico Rossi detto il Manentino. A questa chiesa era legata in particolare una delle vicinie esistenti in Arco: quella detta appunto di S.Bernardino. La vicinia era un’associazione dei “vicini”, di coloro cioé che abitavano nella stessa contrada e che godevano di donazioni o privilegi, negati invece a chi era forestiero o a chi risiedeva in altra parte della città. Ancora adesso nel rione di Stranfora si festeggia in modo solenne S. Bernardino che è compatrono di Arco.

Nel Seicento venne anche realizzata alla periferia Sud di Arco un’altra chiesa, quella dedicata alla Madonna di Reggio. Sorta come ampliamento di un capitello dedicato alla Madonna della Ghiara che si venerava in Reggio Emilia, assunse un ruolo importante quando, verso la fine del XVII secolo (1689), venne edificato accanto ad essa un monastero delle Serve di Maria. La fondatrice Arcangela Biondini, veneziana, aveva ottenuto dall’imperatore Leopoldo l’aiuto economico per realizzare questa casa di preghiera e di formazione. E l’appoggio imperiale non venne mai meno al convento di clausura (se si eccettua la ventata delle soppressioni volute da Giuseppe II); si veda la porta con lo stemma imperiale, sormontato dall’aquila bicipite. Per tre secoli quelle mura hanno visto la presenza di decine di suore, di converse e di educande. Per un periodo le religiose furono anche maestre nella scuola elementare femminile.

Ora nel convento vive una ridotta comunità di suore di clausura, ma la loro presenza non è affatto avulsa dalla vita della città.

Alla periferia Sud di Arco si trova la chiesa di S.Giorgio; ricordata nel sec. XII, è stata ricostruita nel Settecento e poi ancora nel 1895.

La chiesa realizzata in tempi più recenti ad Arco è la chiesa evangelica dedicata alla S. Trinità. Come si è detto nella premessa storica, Arco visse il momento forse più felice della propria storia negli ultimi decenni del secolo scorso, quando ad Arco arrivarono gli ospiti del Luogo di Cura. E per loro soprattutto venne realizzata a fine Ottocento (consacrata nel 1900) la chiesa in stile neo-gotico che si trova in via Roma. Dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, la chiesa venne abbandonata; nel 1935 essa fu affittata alla comunità cattolica che la dedicò a S. Teresa. Nel 1972 la chiesa riprese ad essere usata dalla chiesa evangelica. La ricerca architettonica perseguita nell’ideazione di questa chiesa è davvero singolare: riscontriamo infatti l’accostamento delle forme slanciate del tetto e del campanile e quelle più severe dei muri portanti, con l’uso marcato della pietra, rossa e grigia. Ma in questo sta l’unicità della chiesa evangelica della S. Trinità. Sui lati Nord e Sud, ad interrompere lo spiovente del tetto, vi sono tre grandi vetrate, tripartite.  L’interno è semplice ed essenziale. Ad ovest è il presbiterio che presenta un altare ligneo sovrastato da un grande Cristo crocifisso; a lato il pulpito, anch’esso in legno. Lungo gli altri tre lati corre un basso atrio scandito da forti pilastri in pietra da cui parte la volta ogivale sopra l’unica navata. Sul lato  Est vi è uno spazioso coro, ora non utilizzato. La chiesa, che è l’unica di rito evangelico nel Trentino, rimane aperta dalla domenica delle Palme fino alla fine di ottobre.

Per chi ama la quiete e la meditazione, a Nord di Arco, immersa nell’olivaia, si trova la Via Crucis che conduce al Santuario della Madonna di Làghel. Si raggiunge salendo la via Fossa Grande che porta all’Arboreto e al Castello. Nei pressi della Villa Rosa inizia la serie dei capitelli che ricordano la passione di Cristo; si snoda fra tronchi contorti d’olivo, muretti a secco, prati verdi e rocce strapiombanti. Questi capitelli furono realizzati nel 1895/96, soprattutto per volontà popolare; essi dovevano sostituire l’antica Via Crucis (1690) che si trovava lungo la strada (Via Capitelli, appunto!) che conduce da Arco verso Romarzollo. Alcuni di questi capitelli infatti erano stati abbattuti nell’edificazione del muro di cinta della Villa Arciducale, ed altri erano in cattivo stato. Le stazioni della Via Crucis, in legno dipinto, sono opera dello scultore gardenese Giuseppe Moroder.

Al termine della Via Crucis si arriva al Santuario della Madonna di Làghel.  Anticamente qui si trovava un capitello, oggetto di devozione da parte di chi superava il passo di Laghel; questa strada infatti era frequentata da chi si recava verso Ceniga.

Nel 1721 si pose la prima pietra ed il preesistente capitello venne inglobato nell’altare principale; la chiesa fu benedetta nel 1725. I due altari in stile barocco sono opera dei fratelli Benedetti, lapicidi di Castione. Nell’antico pronao, ora chiuso ai lati, vi è il sepolcro con la statua di Gesù, anch’essa opera di Giuseppe Moroder. Una lapide alla parete ricorda che l’arciduchessa Maria Antonietta Immacolata, principessa di Toscana, “prendeva conforto al crudo suo morbo nel tenero affetto verso questo santuario”.

Ad Est della chiesa parte il sentiero che conduce sul Monte Collodri; su una balza, poco distante dal santuario, tre croci in legno segnano l’ideale conclusione della Via Crucis.

Nei pressi del ponte sul Sarca, una strada, sulla destra, conduce in località Prabi, verso il campeggio di Arco, la piscina , la parete artificiale di free-climbing, il percorso vita ai piedi del M. Collodri. Due altre presenze si segnalano all’attenzione di chi percorre questa strada, e soprattutto di chi sa apprezzare l’arte medioevale: sono la chiesa di S. Apollinare e l’eremo di S. Paolo.

Notizie certe in merito alla chiesa dedicata a S. Apollinare risalgono al XIV secolo, ma si ritiene che la chiesa possa essere sorta intorno al VII secolo. Collocata fuori delle mura che un tempo cingevano Arco, lontana da abitazioni, aveva probabilmente anche lo scopo di accogliere viandanti e pellegrini. Ciò spiegherebbe la presenza di un ampio pronao, laterale all’ingresso principale, aspetto architettonico singolare fra le chiese dell’archese.

Si sa che verso la fine del XIV secolo officiavano nella chiesa di S. Apollinare ben dieci chierici; nel 1473, il papa Sisto V aggregò, con bolla pontificia, la chiesa, quale priorato, alla Collegiata di Arco.

A partire dal Settecento, la chiesa conobbe, come altre del luogo, un progressivo abbandono. Solo verso la fine dell’Ottocento ed in questo secolo lavori di salvaguardia e di restauro evitarono la completa distruzione della chiesa di S. Apollinare. Gli ultimi interventi sono stati compiuti nel 1983; essi hanno ridato leggibilità agli affreschi presenti sulle pareti interne e del pronao.

La chiesa ha la pianta rettangolare che si conclude con un’abside semicircolare, quasi una nicchia, che chiude verso Est l’aula. L’altare in pietra rossa presenta tracce di affresco; tre strette finestre a strombo illuminano la sacra mensa. Nel catino dell’abside ben visibile è il volto del Cristo Pantocratore; ai lati dell’arco santo è raffigurata, quasi certamente, l’Annunciazione.

Le pareti Nord e Sud sono completamente affrescate, su due registri. La parete Sud presenta, nel livello più alto, la Madonna con il Bambino, circondata da figure di santi (riconoscibile S. Antonio con il bastone a gruccia ed il campanello), la deposizione di Cristo nel sepolcro e la Natività. Nella fascia inferiore è raffigurato il martirio di S. Agata seguito da una serie di santi fra cui S. Chiara e S. Francesco. Nella parete a Nord, nel registro superiore, troviamo il martirio di S. Lorenzo, la Madonna che allatta Gesù Bambino e la Crocifissione.

Sotto, altre figure di santi, tra cui S. Apollinare, vescovo benedicente, S. Paolo con la spada ed il libro, S. Anna e Maria bambina, S. Caterina d’Alessandria con accanto la ruota, simbolo del suo martirio. La raffigurazione di S. Antonio abate e di S. Apollinare è presente in più punti.

La parete su cui si apre l’ingresso principale era tutta affrescata, ma orasono poche le tracce rimaste leggibili.

Si notano due persone attorno ad un fuoco, una regge un campanello. In basso vi è una figura di vescovo e, sulla destra, è rappresentata quasi certamente la bottega di falegname di S.Giuseppe.

Sugli affreschi sono state incise, in più parti della chiesa, numerose scritte secondo una pratica che ritroveremo più evidente nella chiesa di S. Rocco a Caneve di Arco. All’esterno, la parete Nord del pronao presenta la raffigurazione dell’Ultima Cena; undici apostoli fanno ala a Gesù. Giovanni ha il busto reclinato sulla mensa, Pietro lo fissa in modo severo, mentre gli altri discepoli, a coppie, intrattengono un dialogo fatto di sguardi e di semplici gesti; ai piedi di Gesù, sul lato opposto del tavolo, una figura inginocchiata alza le grandi mani in gesto di preghiera. Sulla sinistra una scritta in colore rosso ricorda che “Villelmo… venit huc prima et terza Junii…”.

Sotto l’Ultima Cena si intuisce la raffigurazione dell’Adorazione dei Magi.

Accanto si erge la figura di S. Apollinare; sul lato Est la Crocifissione sostituisce l’ancona sopra il semplice altare in pietra. Questi ultimi affreschi risalgono ad epoca successiva rispetto a quelli interni alla chiesa, che sono attribuibili invece alla scuola del maestro Federico del fu Bonanno Oddone da Riva ed in particolare a Giacomo e Giorgio (rispettivamente figlio e nipote di Federico), operanti in Trentino nella seconda metà del Trecento.

Continuando a percorrere la strada di Prabi, dopo circa due chilometri, si incontra l’eremo di S. Paolo. Un boschetto di lecci lo isola dalla campagna antistante. Appare per prima una casa riservata probabilmente ai pellegrini, interamente ricostruita durante recenti lavori di restauro. Una ripida scalinata in pietra locale porta alla chiesetta abbarbicata alla parete di un maestoso sottoroccia.—– L’ambiente è decisamente suggestivo

e rievoca un passato fatto di meditazione e di mistero. L’origine di questo romitorio è antichissima, come quella degli altri presenti nel Basso Sarca. In questi luoghi vivevano monaci eremiti che conducevano una vita di preghiera e di austerità; la gente li stimava particolarmente e ad essi ricorreva per un buon consiglio o perché intercedessero presso Dio.

Ad un lungo periodo in cui per l’eremo di S. Paolo vi fu una forte affezione, seguì il tempo dell’ abbandono. La cappella e il romitaggio divennero oggetto di atti vandalici.———- Opportunamente il Comune di Arco ha acquisito dalla famiglia de Althamer la proprietà della chiesa. Accurati lavori di restauro hanno permesso di mettere in luce sulle pareti interne della chiesetta alcuni splendidi affreschi che seguono la volta rocciosa sovrastante. Il primo sulla parete Ovest, raffigura l’Ultima Cena: dolcissima è l’espressione dell’apostolo Giovanni, con il capo appoggiato sulla spalla di Gesù. Sul lato opposto vi è la caduta di S.Paolo da cavallo sulla via di Damasco e poi la raffigurazione di un martirio. Una figura centrale viene colpita con dei sassi da personaggi in veste rigata e da un altro personaggio con una mazza. Si tratta quasi certamente del martirio di S.Stefano; gli Atti degli Apostoli riportano, infatti,  che coloro che colpirono Stefano diedero i loro mantelli da tenere ad un giovane di nome Saulo, che da persecutore dei cristiani diventerà poi un grande evangelizzatore. Questi dipinti, assai più elementari di quelli presenti nella chiesa di S.Apollinare, risalgono probabilmente al XIV secolo. Anche in questa cappella si trovano alcune iscrizioni murali che ricordano soprattutto il passaggio di pellegrini.Oltre la chiesetta vi è una stanza con un caminetto a muro con contorni in pietra grigia, e poi un’altra stanza ancora, dove una scala in pietra conduce in una nicchia sotto il pavimento. Si esce poi su un piccolo balconcino che si affaccia sulla valle. Sul muro esterno della chiesetta, a strapiombo sulla parete del sottoroccia, vi è la raffigurazione della Sacra Famiglia; altri affreschi sono andati completamente perduti.