Padaro, Mandrea, S.Giovanni

La destra orografica del solco vallivo in cui è racchiuso il territorio del Comune di Arco presenta mète di grande richiamo sia per chi ama camminare che per gli appassionati di mountain bike o per chi, più comodamente, preferisce spostarsi in automobile.

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La strada che sale a S. Giovanni ha inizio a Varignano, nel romarzollese. Superato l’abitato, il percorso presenta una ripida salita, da compiere con prudenza. L’olivaia si sviluppa tutt’attorno; sul lato Ovest fa da corona alla strada e presenta una delle piante più antiche presenti nella valle, il mitico “olif del Bottes”. Sul lato Est invece i gradoni scendono bruscamente verso la piana del Basso Sarca.

Si arriva così a Padaro, dopo aver superato il capitello dedicato a San Rocco, uno dei tanti che la religiosità popolare ha disseminato nelle contrade della valle. Padaro è un piccolo centro abitato che è stato rivitalizzato dalla realizzazione della strada asfaltata. Aldo Gorfer nel suo libro “Solo il vento bussa alla porta” (1970) l’aveva posto nel novero dei paesi abbandonati o perlomeno isolati. Ora invece il paese è tornato ad assumere una propria identità ed ai ceppi famigliari più radicati se ne sono aggiunti altri.

Nella chiesa di San Tommaso, (citata negli Atti Visitali del 1537), vi è una tela Madonna addolorata e Redentore, opera di Giuseppe Craffonara, pittore rivano, uno dei più grandi artisti neoclassici trentini.

Come si è già detto nella parte storico-artistica di questa guida, in questa località, nel 1883, vennero ritrovate circa 80 monete romane, risalenti all’epoca imperiale; alcune di esse furono esaminate dal noto archeologo roveretano Paolo Orsi.

La strada supera un secondo dislivello grazie ad alcuni tornanti; lo sguardo corre lungo il pendio e la valletta di Padaro, fino a perdersi nell’azzurro del Garda.

Si giunge a Mandrea; poche le case allineate lungo la via, qualche prato, le pareti rocciose ad Ovest mostrano ampi segno di modellamento. Poi la strada costeggia il fianco montuoso a strapiombo sulla zona di Dro e Ceniga. Sullo sfondo le Marocche e il castello di Drena.

Siamo in prossimità del Dos del Clef; è qui che arriva il “sentiero degli scaloni”. Di qui si può proseguire sul versante del M.Biaina, godendo di uno splendido panorama.

Continuando la strada principale si incontrano altre case immerse nel bosco od al limitare di un prato. E finalmente ecco S. Giovanni al Monte (m.1050 s.l.m.) con la chiesetta, la fontana, la grande malga ora trasformata in rifugio e ristorante, la colonia della Parrocchia di Arco e tante case; alcune sono le antiche residenze contadine abitate al tempo dell’alpeggio e della fienagione, altre sono state edificate recentemente.

In pochi minuti si è passati accanto agli olivi, alle viti, ai pini neri, ai lecci, ai castagni, ai noccioli, per poi immergersi nelle abetaie e soprattutto nello splendido bosco ceduo, dove il faggio domina, signore assoluto.

S.Giovanni al Monte ha avuto in epoca preistorica un ruolo importante come luogo di passaggio tra il territorio dell’Alto Garda e le zone del Lomaso e del Bleggio. All’inizio degli anni Ottanta sono state rinvenute tracce di accampamenti stagionali, risalenti con tutta probabilità al periodo mesolotico (4.500 a.C.). Ad epoca relativamente più recente è da attribuirsi invece una struttura tombale, ritrovata nel 1981, contenente resti di tredici persone. L’esame del modesto corredo (un elemento di collana in pasta vitrea, due frammenti di ceramica ed un bracciale di bronzo) ha permesso di far risalire questa sepoltura alla seconda metà del IV secolo dopo Cristo.

Presso la chiesa di S. Giovanni Battista (XVI secolo) vi era anche un eremo. Documenti d’archivio testimoniano che, nel corso dei secoli, molti furono gli eremiti che si stabilirono a S. Giovanni al Monte, coltivando il proprio orto, pregando e raccogliendo l’elemosina. Essi appartenevano per lo più alla comunità dei frati francescani.
S.Giovanni può rappresentare il punto di partenza per itinerari diversi che di qui si irradiano come dita invisibili di una mano che ci vuole indicare splendidi percorsi nella natura.

Di grande comodità è la strada che, partendo dalle Marcarie, conduce ai Prai da Gom; splendida è la veduta sul Carè Alto e sulle guglie delle gruppo del Brenta. Di qui si può proseguire fino alla località Gorghi, ove sono presenti alcune abitazioni. È possibile raggiungere poi la località Treni e di qui il Rifugio S. Pietro, seguendo l’itinerario opportunamente indicato. In alternativa si può scendere a Varignano lungo l’antica mulattiera dei “capitelli” fino ad arrivare alle cave che sovrastano l’abitato.

Sul versante opposto invece è di grande interesse l’itinerario che conduce al M. Casale ed al rifugio “Don Zio”.

Una mèta intermedia su questo versante è il “Prà dei muci”; un’antica leggenda vuole che gli strani tumuli che ancora sono presenti in questo pianoro non siano altro che mucchi di fieno raccolti da contadini in un giorno di festa. Contravvenendo questi ultimi all’obbligo cristiano di santificare le feste, la punizione divina aveva trasformato il loro fieno in mucchi di terra. Questa leggenda, tuttora tramandata, è ricordata anche da Amborgio Franco (storico del Seicento) nelle sue memorie storiche riguardanti Arco.

Da S. Giovanni al Monte si può scendere poi verso Lundo ed il Lomaso.